Religione romana
Natura e significato
I romani, secondo l’oratore e politico Cicerone, eccelsero tutti gli altri popoli nella saggezza unica che li fece capire che tutto è subordinato il governo e la direzione degli dei. Eppure la religione romana non era basata sulla grazia divina ma piuttosto sulla fiducia reciproca (fides) tra dio e uomo. Lo scopo della religione romana era quello di garantire la cooperazione, la benevolenza e la “pace” degli dei (pax deorum). I romani credevano che questo aiuto divino avrebbe permesso loro di dominare le forze sconosciute intorno a loro che ispirava timore e ansia (religio), e così sarebbero stati in grado di vivere con successo. Di conseguenza, nacque un corpo di regole, lo ius divinum (“legge divina”), che ordinava ciò che doveva essere fatto o evitato.
Questi i precetti per molti secoli contenevano quasi nessun elemento morale; consistevano in indicazioni per la corretta esecuzione del rituale. La religione romana poneva un’enfasi quasi esclusiva sugli atti di culto, dotandoli di tutta la santità della tradizione patriottica. Il cerimoniale romano era così ossessivamente meticoloso e conservatore che, se si possono eliminare i vari accrescimenti partigiani che sono cresciuti su di esso nel corso degli anni, è possibile rilevare resti di pensieri primitivi vicino alla superficie.
Questo dimostra uno dei molte differenze tra la religione romana e la religione greca, in cui tali resti tendono ad essere profondamente nascosti. I Greci, quando iniziarono a documentarsi per la prima volta, avevano già percorso un lungo cammino verso concezioni sofisticate, astratte e talvolta audaci della divinità e del suo rapporto con l’uomo. Ma i romani ordinati, legalisti e relativamente inarticolati non abbandonarono mai del tutto le loro vecchie pratiche. Inoltre, fino a quando la vivida immaginazione pittorica dei Greci iniziò a influenzarli, mancava loro il gusto greco di vedere le loro divinità in forma umana personalizzata e dotarle di mitologia. In un certo senso, non esiste la mitologia romana, o quasi nessuna. Sebbene le scoperte nel XX secolo, in particolare nell’antica regione dell’Etruria (tra i fiumi Tevere e Arno, a ovest ea sud dell’Appennino), confermino che gli italiani non erano del tutto antimitologici, la loro mitologia è scarsa. Ciò che si trova a Roma è principalmente solo una pseudomitologia (che, a tempo debito, rivestì le proprie leggende nazionalistiche o familiari con abiti mitici presi in prestito dai Greci). Né la religione romana aveva un credo; a condizione che un romano compisse le giuste azioni religiose, era libero di pensare ciò che gli piaceva degli dei. E, non avendo alcun credo, di solito deprecava le emozioni in quanto fuori luogo negli atti di culto.
Nonostante le caratteristiche antiche non lontane dalla superficie, è difficile ricostruire la storia e l’evoluzione della religione romana. Le principali fonti letterarie, antiquari come gli studiosi romani del I secolo a.C. Varrone e Verrio Flacco, e i poeti che furono loro contemporanei (sotto la tarda Repubblica e Augusto), scrissero 700 e 800 anni dopo l’inizio di Roma. Scrissero in un’epoca in cui l’introduzione di metodi e miti greci aveva reso inevitabili interpretazioni errate (e lusinghiere) del lontano passato romano. Per integrare tali congetture o fatti che possono fornire, gli studiosi si affidano alle copie sopravvissute del calendario religioso e ad altre iscrizioni. C’è anche un tesoro ricco, anche se spesso criptico, di materiale in monete, medaglioni e opere d’arte.